La sede

Le enormi possibilità offerte dalla primo conflitto mondiale, consentì, anche a piccoli imprenditori come i fratelli ebanisti, di entrare in contatto con esponenti del Ministero della Guerra, inserendosi nel settore destinato ai servizi ausiliari delle navi e alla costruzione di aerei. Pietro Nicoletti, avendo firmato un contratto per la fornitura di legname e ottenuto la concessione per impiantare un essiccatoio con relativa segheria, espose i suoi progetti agli amministratori reatini, i quali individuarono l’area più idonea per insediare l’impianto, quella situata nelle vicinanze dell’Officina ricevitrice della Società elettrica di Ginevra, in località Campo Loniano.

Quest’area compresa tra porta Conca e porta d’Arce era la più appropriata ad ospitare un insediamento manifatturiero per la sua prossimità alla stazione ferroviaria e la contiguità con due corsi d’acqua cittadini. Il Comune, con lungimiranza, aveva acquistato dal conte Riccio Ricci i terreni a ridosso della cinta muraria posti tra la ferrovia e porta Conca, per disporvi la centrale elettrica, prefigurando le direttrici della futura espansione industriale della città, una verso Nord-Ovest con lo Zuccherificio, poi con la Montecatini e la Snia, l’altra verso Nord-Est, dove sorgevano alcuni mulini, una fabbrica di laterizi e un lanificio. Quando nessuno poteva immaginare con certezza gli esiti del conflitto, durante la primavera del 1918, i Nicoletti chiesero al Comune di Rieti la concessione di quest’area per cinque anni, la cessione di energia a basso costo, l’esenzione da tasse e dazi vari. Il regime di guerra consentì loro di esigere dagli amministratori reatini una delibera di urgenza, contemporaneamente all’acquisto dei macchinari. Nel progetto i fratelli Nicoletti mostravano un grande interesse a implementare le loro attività industriali, piegandole anche alle esigenze dell’agricoltura, ipotizzando, dietro il diretto interessamento di Nazareno Strampelli, scienziato del grano, l’utilizzazione dell’essiccatoio per bozzoli, granturco, cereali e patate. Nell’ottobre del 1918 il sottoprefetto appose il visto alla proposta Nicoletti, successivamente ratificato della giunta del sindaco Raccuini. Neanche un mese dopo, il 25 novembre, Pietro Nicoletti comunica al al primo cittadino che la fine del conflitto ha fatto venire meno l'obiettivo del loro progetto, perché manodopera, materie prime, macchinari sono troppo costosi, inoltre l’instabilità seguita alla cessazione dello stato di guerra, consiglia di aspettare nuove condizioni economiche, che non tarderanno a manifestarsi. I promettenti segnali di risveglio delle attività del paese suggeriscono a Pietro, di rielaborare l’idea iniziale e di puntare alla fabbricazione di mobili e serramenti in legno organizzando il lavoro secondo i sistemi più razionali, valendosi macchinari speciali.

L'aspetto dei fabbricati sarà decoroso e in armonia con il luogo ove sorgeranno. L’area coperta di mq 3.750 accoglierà costruzioni a 2 e 3 piani, in totale saranno di mq 5.400. In piena efficienza si impiegheranno 70 operai falegnami, 76 operai ebanisti, 15 operai metallurgici, con 29 unità di personale direttivo e di servizio. Le maestranze dello stabilimento saranno reatine ad eccezione dei tecnici specializzati. Gli operai godranno di tutti i benefici acquisiti in altri centri industriali, diretti con criteri di modernità. Si darà vita ad una cooperativa di consumo fra gli operai stessi in modo da veder mitigati i disagi provenienti dall'alto costo dei generi di prima necessità.

Un aspetto importante riveste la formazione degli operai, i quali accolti come apprendisti, prederanno coscienza del loro ruolo nell’ambito di un moderno e pratico corso di insegnamento industriale e di disegno in aule poste a porta Conca. I prodotti ottenuti saranno assorbiti dal mercato romano, senza danneggiare l'industria locale, sostenuta da un discreto artigianato manifatturiero. Per l’essicazione dei prodotti agricoli locali si impiegherà personale prevalentemente femminile coordinato dal professor Strampelli, che ha ravvisato l'opportunità e l'urgenza di sviluppare tale settore. L’inizio dei lavori è prevista per l’8 gennaio 1920. I fratelli Nicoletti fanno notevoli pressioni per ottenere energia elettrica a basso costo dagli amministratori della SIE (Società industriale di elettricità di Ginevra). Nello stesso tempo chiedono al Comune di Rieti un impegno contrattuale preciso: a) un contributo immediato di 4.000 lire per compensare l’alto costo dell’energia rispetto a Roma; b) l’obbligo di una cessione a prezzo di costo della stessa, qualora la gestione dell’elettricità sarà municipalizzata. I lavori saranno completati nel 1923. La questione dell’elettricità e la sua vicenda industriale tra il 1923 e il 1932 rimane però il nodo centrale della ditta Nicoletti, al punto da decidere delle sue sorti future: non otterrà mai un prezzo definitivo e neppure quell’aumento di potenza chiesto ripetutamente.

Oltre ciò l’alternarsi dei diversi gruppi finanziari che gestiranno la distribuzione dell’energia nell’Umbria, tra i quali la Società di carburo, la Società del Velino, la Unione esercizi elettrici-Gruppo del Velino, non consentirà di alleggerire la condizione debitoria in cui si trovava la fabbrica, anzi, il 5 maggio 1933, porterà alla sospensione dell’erogazione di elettricità e a determinare la sua chiusura. Sarà uno degli elementi che provocheranno il fallimento della ditta Nicoletti. Nel marzo 1934 la Società anonima reatina per l’industria del legno (SARPIL) rileverà la proprietà e la conduzione dello stabilimento Nicoletti, adottando lo stesso progetto di sviluppo.