La storia

«Come una mano dalla casa oscura, uscì l’aroma intenso della legna custodita». Così Pablo Neruda scriveva nella sua Ode allodore della legna. Un odore che dà la sensazione dell’atmosfera respirata da chi lavorò nell’opificio Fratelli Nicoletti, industria del legno che ha segnato la storia della città di Rieti. La sua avventura imprenditoriale può essere ora ricostruita più compiutamente grazie all’acquisizione, da parte dell’Archivio di Stato di Rieti, della documentazione prodotta dalla ditta e dalle sue successive mutazioni societarie. La donazione è stata effettuata nell’estate 2019 dagli eredi dei Nicoletti, la famiglia Rinaldi, un esponente della quale, Alberto, ha incarnato la continuità delle varie esperienze imprenditoriali succedutesi nel corso del Novecento prima come dipendente della Fratelli Nicoletti e poi da socio fondatore delle ditte successive.

Furono proprio i Nicoletti, nel secondo decennio del secolo scorso, a promuovere la svolta in senso industriale dell’artigianato del legno a Rieti. Già presente in città con un piccolo laboratorio e con un’attività ben avviata anche a Roma, la loro azienda giunse a contare circa duecento dipendenti, con generazioni di reatini che si formarono al suo interno attraverso una scuola professionale. Quella dell’impresa da loro inaugurata fu una parabola a lunga gittata, iniziata nel 1914, conclusasi nel 1989 e inframezzata da una crisi tanto improvvisa quanto profonda nel 1933-'34 e da alcune trasformazioni societarie e di assetti proprietari.

Tornando più indietro nel tempo, a metà Ottocento operava già a Rieti, come maniscalco, Luigi Nicoletti, padre di cinque figli tra cui Antonio e Gioacchino. Il primo ebbe quattro figli: tra questi Ercole, ebanista, ed Elvira, che sposò Odoardo Rinaldi istituendo una parentela decisiva per il futuro dell’azienda. L’inizio della storia vera e propria dell’opificio risale a pochi mesi prima dell’entrata in guerra dell’Italia, quando i fratelli Pietro, Luigi, Benvenuto, Giuseppe e Varo Nicoletti, insieme al cugino Ercole, costituirono a Roma, il giorno di San Valentino del 1914, una società in nome collettivo per dare vita a uno stabilimento destinato alla produzione ed essiccazione di legnami, nonché alla fabbricazione di mobili e serramenti in legno.

Dopo aver ottenuto nel 1918 dal Comune di Rieti la concessione di un’area per la loro sede, fu nel 1920 che i Nicoletti vi impiantarono i capannoni destinati a ospitare il reparto essiccazione, le segherie e le fonderie. L’opificio si occupava, infatti, anche della lavorazione del ferro per la realizzazione di lampade, lampadari e serramenti. Con le loro buone entrature i fratelli riuscirono a stabilire contatti con il Ministero della Guerra, inserendosi così nel settore dei servizi ausiliari delle navi e della costruzione di aerei. Fiorente fu inoltre la realizzazione di prodotti di pregio, di cui è possibile individuare i destinatari grazie ai registri della clientela giunti all’Archivio di Stato reatino. Da essi si apprende che tra i primi acquirenti vi furono la Real Casa, i noti magazzini “Zingone” sorti a Roma nel 1896 in via Cola di Rienzo (poi sede di un negozio della catena Coin), il genetista Nazareno Strampelli, la famiglia Montanelli (il padre del giornalista Indro fu preside del liceo classico di Rieti) e la Snia Viscosa della capitale e di Napoli. I registri a disposizione, dal 1922 al 1968, sono una vera e propria miniera di nomi di persone, famiglie, enti, banche e aziende, oltre che di informazioni sui prodotti. Soffermandoci sui primi anni, possiamo evidenziare i legami della ditta Nicoletti con clienti appartenenti alle alte sfere del Fascismo, tra cui lo stesso Benito Mussolini, acquirente di alcuni mobili nel gennaio del 1924, e il ministro Giuseppe Bottai. Ancora, non mancano lavori per palazzo Chigi, la Banca d’Italia e la Banca commerciale, mentre tra le aziende si segnalano la Olivetti, la Società anglo-romana (che forniva gas ed elettricità per l’illuminazione della capitale) e la sede romana del quotidiano Il Messaggero in via del Tritone.

A causa di una crisi inaspettata, derivante anche dai mancati pagamenti, l’azienda chiuse i battenti nel 1933. L’anno seguente fu rilevata dalla Sarpil (Società anonima reatina per l’industria del legno), al cui interno lavoravano ancora Ercole Nicoletti e Alberto Rinaldi, figlio di Odoardo, che proseguirono la storia imprenditoriale fondando un’altra azienda (1935), i cui lavori e progetti sono inclusi nel fondo pervenuto all’Archivio di Stato reatino. Nel 1950 la nuova realtà acquisì un nuovo socio, divenendo la Rinaldi&Iacoboni fino alla chiusura del 1989-'90, con la cessione alla Saico, società nata tra i dipendenti dello stabilimento, che sancì l’uscita di scena del gruppo familiare Rinaldi.

La presenza costante di Alberto Rinaldi lungo le diverse fasi di vita dell’opificio ha assicurato che la produzione documentaria dei vari periodi rimanesse insieme e ci pervenisse come un unico fondo. Il complesso archivistico superstite è ora organizzato in 98 buste, frutto di un ricondizionamento, contestuale alla presa in carico e curato dal laboratorio di cartotecnica dell’Archivio di Stato di Rieti, che ne ricalca l’ordinata disposizione, a casa Rinaldi, all’interno di un armadio e di una cassettiera in legno di marca rigorosamente Rinaldi&Iacoboni. Il materiale copre gli anni compresi tra il 1922, allorché la produzione nello stabilimento reatino entrò a pieno regime, e il 1989, quando ormai la Rinaldi&Iacoboni si accingeva a cedere il passo alla Saico e all’ultima estenuata propaggine della vita dell’opificio. Il lavoro di riordino e di descrizione in corso ha consentito di individuare due nuclei documentari principali: da una parte la documentazione Fratelli Nicoletti (1922-1933), dall’altra quella prodotta dalle aziende succedutesi dal 1934 in poi e aventi tutte il proprio perno in Alberto Rinaldi.